Lo sciamano Galli ci mostra l’altrove
Partiamo dal titolo: “un dialogo gestuale”, tra chi è questo dialogo? Il dialogo gestuale nasce dalla stretta relazione che c’è col pubblico e con lo spazio urbano. Tutto fa parte di un progetto più grande: “il mondo altrove” che racconta un rituale in forma danzata che viene celebrata da questa figura scamanica che abita questo spazio e intesse delle relazioni invisibili con l’architettura, i dislivelli, le forme che costituiscono quello spazio preciso con il pubblico e tutta eterogeneità degli spettatori e spettatrici che si trovano in quel dialogo. Questa figura intesse un discorso formato da movimenti non facili da interpretare che sono simbolo di una comunione tra le cose tra cui l’idea del dono e del donarsi.
Qual’è il tuo “gesto” e come si adatta alla tematica del rituale che andremo a vedere oggi? In questo spettacolo non parto dall’idea del danzare ma dalla radice della danza che è il gesto, che possiede una serie di significati, che sono l’incrocio della lettura possibile di chi sta osservando. La possibilità di donare, di sentire il peso di questo dialogo, come se venisse raccolto e trasformato in un gesto mutaforme. Quindi la capacità della figura scamanica di mutarlo e plasmarlo per poi restituirlo.
Qual è il nesso tra la coreografia e i costumi che scegli? In questo caso più che dei costumi sono degli abiti da cerimonia indossati da questo sciamano. L’elemento più caratterizzante è la maschera che è formata da un elemento frontale che cela il viso ma allo stesso tempo lo trasforma. La maschera è la presentazione di un nuovo volto, che viene completamente riconfigurato anche secondo quella che non è una tradizione di maschere occidentale. Facendo questo intesse un “fil rouge” tra occidente e oriente. Questa maschera non copre solo il viso ma anche il capo, in modo tale da fare una riconfigurazione completa. Quando mi trovo in scena e indosso questa maschera c’è una vera e propria mutazione della mia persona. Perdo un pezzetto di me, lascio che la maschera mi trasporti e un’entità altra abita il mio corpo.
Questi vestiti li scegli o li crei tu? Entrambe le cose. Li scelgo personalmente, ma ultimamente li creo anche. Questo rende ancora più forte questo “abitare” il costume. Ultimamente apro questo progetto anche al resto del mio gruppo che lavora con me. Ad esempio nello spettacolo per quartetto, cioè con 4 maschere, ogni interprete crea personalmente la propria maschera.
Da dove viene questo tuo interesse per le culture extra-europee? Più che interesse è un’affascinazione che ho sempre avuto e in questo periodo mi sono interessato sempre di più alle culture che sono altre, alle pratiche e all’iconografia di queste culture. In più mi interessa molto indagare sull’idea dell’altrove, l’idea di avvicinarci a qualcosa che è altro da noi. Quindi questo spettacolo è anche un invito, per me e per chi osserva la creazione, a immergersi in questo altro.
Come hai fatto a esprimere la cultura sciamanica in una danza? Hai visitato questi luoghi personalmente? Non ho visitato questi luoghi abbastanza e la ricerca sullo sciamanismo non è recuperata a livello tradizionale. La mia danza è l’idea dello sciamanismo, l’idea di far connettere il regno umano a agli altri (animale, vegetale).
Alice Tovoli e Agata Cogni (14y)
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