Le parole per danzare il paesaggio – Il glossario di Bodyscape di Emanuele Regi

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28 Febbraio 2022
di Danza Urbana
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Premessa, o dichiarazione d’intenti

Concentrare l’analisi sul processo creativo piuttosto che sul risultato finale è una delle grandi acquisizioni della nuova teatrologia (De Marinis, 2008). Tale metodo è ancor più necessario nel campo della danza se consideriamo quanto sostiene Alessandro Pontremoli sulla centralità storica della nozione di progetto, quindi del processo, in questa disciplina.

Nonostante già nell’antichità fosse chiaro che alcune arti particolari, come la danza e il mimo, non producevano “cose”, è solo a partire dal Rinascimento che l’arte non è concepita come attività che realizza la sua forza produttiva in un’opera, ma come attività che ha la sua compiutezza in se stessa […]. Il concetto transita progressivamente dalla sfera teologica della prassi artistica, rendendo centrale la nozione di “progetto”. (Pontremoli, 2021)

Tuttavia su come e dove debba stare lo sguardo dello studioso non c’è un accordo assoluto, tantomeno su quando esso debba intervenire con una sintesi compiuta. È bene ricordare, infatti, che l’analisi di un processo non ha mai un effetto neutro sul lavoro artistico poiché tende a cristallizzarlo ponendolo in una illuminata teca di vetro pronta ad accumulare polvere.

Nello specifico lo sguardo alla base di questo articolo si è posato sui progetti vincitori di Bodyscapes. Ilbando, interno al progetto Dancescapes di Danza Urbana, si rivolge «agli autori/autrici nell’ambito della danza contemporanea per spazi urbani o naturali/paesaggistici» al fine di ottenere «una borsa di residenza creativa e di ricerca e un periodo di residenza (7-10 gg) da svolgersi nell’area della città metropolitana di Bologna» (Sito Danza Urbana, link). I progetti selezionati sono stati Sull’irrequietezza del divenire di Elisa Sbaragli (danzatrice), Edoardo Sansonne/Kawabate (musicista e compositore) e Fabio Brusadin (tecnico intermediale) e La möa di Lorenzo Morandini (coreografo e danzatore). Nel mese di dicembre 2021 i vincitori hanno effettuato il loro periodo di residenza, restituendo, in forma di talk, le loro considerazioni sul lavoro svolto nel territorio bolognese: Sansonne e Sbaragli presso il parco di Villa Angeletti e il canale Navile, mentre Morandini nei dintorni delle «Sementerie artistiche» presso Crevalcore.

Sull’irrequietezza del divenire si sta delineando come un progetto multiforme che unisce diverse modalità e luoghi: site-specific (Polo di Marghera a Venezia), laboratorio (Monte Mesma, NO) e, infine, installazione (Museo del Paesaggio di Verbania). La riflessione del gruppo ruota attorno agli spazi residuali, ovvero quelli derivati «dall’abbandono di un terreno precedentemente sfruttato» (Clément, 2004). La möa nasce come progetto di danza lungo il torrente Travignolo. Per möa si intende, infatti, uno specchio d’acqua frequentato da giovani in Trentino Alto-Adige. Il focus riguarda, quindi, luoghi naturali come spazi d’aggregazione.

Come si nota da queste brevi introduzioni, i progetti sono nel pieno di una riflessione – seria e nutritissima – intorno a tematiche estremamente complesse e sensibili. Il contributo qui presentato vorrebbe, di conseguenza, evitare impossibili sintesi preventive. L’intento, quindi, sarà quello di individuare alcune tematiche forti in entrambe le esperienze, costituendo un piccolo glossario di ricerca che possa orientare e supportare il processo artistico nelle successive fasi.

Danzare nel paesaggio

Prima di procedere con l’individuazione delle key-words, è necessario fornire qualche indicazione teorica in più rispetto alla definizione di paesaggio e danza urbana e alle loro possibili relazioni, al fine di stabilire un recinto d’azione nel quale questi gruppi operano.

Oggi assistiamo a una forte ridefinizione di paesaggio in termini strettamente performativi, superando giustamente le tendenze che consideravano il paesaggio «dal punto di vista dell’estetica» mettendo l’accento esclusivamente sul «valore (o, simmetricamente, il disvalore) di ciò che vediamo» (D’Angelo, 2010). Dobbiamo quindi considerare una certa «energia nel paesaggio in quanto “potenza formativa specifica” che opera già a livello delle sensazioni e degli ordinamenti e costituisce realmente il nostro accesso al mondo» (Messori, 2021). Una forza attiva che influisce continuamente sul nostro stare al suo interno, la cui essenza, anche durante una riflessione artistica, non può essere mai catturata in modo definitivo: «Se ci si concentra sul processo creativo, il momento estetico-artistico ha dunque nel momento estetico-sensibile la propria condizione di possibilità» (Messori, 2021). In altri termini è nello stare dentro una pratica, dall’osservare al danzare, che riusciamo a individuare la potenza trasformativa del paesaggio. Un approccio che, stando a Pontremoli, sembra condividere pienamente con la danza.

L’azione stessa è l’opera: poiesis e praxis sono […] sovrapposte, producono una crasi che si manifesta con chiarezza nella scelta di sperimentare, condividendo uno spazio e una condizione comuni, un pezzo di realtà per attivare forme del riconoscimento. (Pontremoli, 2021)

In entrambi i casi, quindi, siamo di fronte a un processo che non può trovare una ragione nell’esito spettacolare o in una rappresentazione fissata, ma solo nel suo continuo prodursi.

Questo principio trova un suo riscontro effettivo in quello che Messori chiama ritmo del paesaggio, ovvero il procedere in-finito – nel senso di non finibile – del paesaggio capace di produrre entità vitali in divenire.

Il ritmo del paesaggio consiste in questa cosmogonesi di cui avvertiamo tutto il potere formativo e performativo, tutta la sua capacità di essere creando delle unità che non sono assemblaggi ma concatenazioni energiche e vitali di parti portatrici di possibilità abitative ancora non realizzate. (Messori, 2021)

Un procedimento che si connette facilmente con le dinamiche performative della danza, costituita da «un movimento fluido (rhytmos) ma non uniforme», che «mette in scena l’apparire del mondo-ambiente […] che, nel momento in cui si mostra, crea delle unità energiche, destinato a trasformare lo sguardo dello spettatore» (Messori, 2021).

Insomma l’azione del corpo nelle forme coreutiche e le trasformazioni interne al paesaggio sono legate da fattori costitutivi, ma è opportuno chiedersi cosa accada nel momento in cui incontriamo fenomeni che li assommano come la danza urbana. Gregorio Tenti sostiene che secondo l’«idea di place-making […] il paesaggio è performato ben prima di essere rappresentato e modificato»: stare nello spazio implica un «legame attivo con la presenza del luogo, l’atto che produce il luogo stesso come luogo»; pertanto «l’attività di esplorazione e abitazione è una forma di materializzazione del segno e di animazione della realtà materiale» (Tenti, 2021). Essere in un luogo e agire implica rivelare mediante il corpo un’attività che è già di per sé è insita nello spazio. In altri termini, nella danza urbana possiamo assistere a una sorta di raddoppiamento per cui l’azione coreutica nel paesaggio agisce un agire del paesaggio stesso aprendo una dimensione ulteriore (quell’«animazione della realtà materiale» di cui parla Tenti). Questo porta con sé, come giustamente sottolinea Pontremoli, un fortissimo valore politico-sociale.

Il corpo che danza liberamente nei luoghi della città scoprendone scorci sconosciuti è una delle possibili pratiche per riappropriarsi dello spazio organizzato, mediante la produzione culturale di arte pubblica. Si tratta di invenzioni della creatività del quotidiano o del festivo, di proposte di democratizzazione del corpo attraverso l’attivazione di processi di relazione e di recupero di miti; trame di anti-disciplina, tattiche di liberazione e resistenza per sfuggire ai processi di incorporazione di modelli comportamentali uniformati e omologanti. (Pontremoli, 2021)

La danza diventa, così, strumento di apertura e conquista politica dello spazio urbano attraverso la scoperta di modelli nuovi e corpi estranei. Tale prospettiva scientifica è pienamente condivisa da Fabio Acca, il quale pone l’accento anche sull’alterità produttiva di questi processi artistici che coincidono «solo parzialmente, o in maniera accidentale, con la dimensione convenzionale dello spettacolo» (Acca, 2021). Non esiste più un pubblico, ma una serie di liberi partecipanti che sperimentano «fenomenologie dell’aggregazione, processi di convocazione comunitaria che producono forme dell’incontro e attivano dialoghi profondi fra sguardi» (Pontremoli, 2021). In altri termini, la nozione frontale di spettacolo, viene sostituita con la tensione politica tesa alla creazione di una nuova comunità in cui danzatori e spettatori si fondono in comunità aggregata.

Proseguiamo, a questo punto, nell’individuare alcuni termini che si sono fissati nelle restituzioni di Bodyscapes.

  1. Osservare

Osservare il paesaggio è l’azione spontanea che si effettua come primo momento di ricerca. Secondo quanto detto finora, bisogna adottare uno sguardo che esuli dall’immaginare il paesaggio come un quadro asfittico, immobile e immutabile, concentrandosi anche sui processi interni.

Sull’irrequietezza del divenire si interroga sull’osservare come dinamica di relazione prolifica e pedagogica tra uomo e natura: «Attraverso l’osservazione paziente, è possibile che il processo di addomesticamento avvenga in entrambe le direzioni?». Ma anche in questo caso bisognerebbe chiedersi quale tipo di sguardo si attua.

Gilles Clément sostiene che «il Terzo paesaggio non ha scala» e «gli strumenti di osservazione del Terzo paesaggio vanno dal satellite al microscopio», utilizzando quest’ultimo strumento è possibile effettuare «un’enumerazione degli esseri più semplici che vivono all’interno di un ecosistema» (Clément, 2007) (cfr. Mappare). Sbaragli-Sansonne-Brusadin fanno proprio questo principio, come vedremo anche più avanti (cfr. Strumento), articolando la parte visuale del loro progetto – specie nell’installazione – su immagini realizzate attraverso il microscopio per individuare forme geometriche irregolari e micro spazi residuali.

Ne La möa di Morandini, invece, abbiamo un processo di osservazione del territorio a misura d’uomo (cfr. Corpo). Il coreografo racconta di aver fatto una passeggiata poco dopo la fine del lockdown, notando un corso d’acqua affollato da molti giovani. Parte da qui la riflessione sulla relazione di questo elemento con l’uomo. Così scrive Morandini nella presentazione del progetto:

È stato proprio durante una camminata lungo il torrente Travignolo che ho iniziato a osservare il paesaggio e la sua composizione per ideare un nuovo progetto performativo. I corsi d’acqua hanno favorito lo sviluppo di insediamenti umani da sempre e la comunità si confronta, sfrutta, cresce e si sviluppa in dialogo con il fiume che attraversa l’abitato.

La vis politica del progetto appare evidente. Si riflette attorno a un elemento con un valore sociale nell’evoluzione umana, tanto che ogni elaborazione ulteriore postula e necessita di ritrovare il potere aggregativo ed economico dell’acqua in un altro ambiente rispetto a quello montano.

In entrambi i casi è opportuno sottolineare il processo di straniamento rispetto al paesaggio, di cui gli artisti si fanno osservatori analitici, quasi stranieri. Solo una vista estranea – in questo caso complice del lavoro creativo – permette di far emergere quello che altrimenti rimarrebbe invisibile agli occhi degli autoctoni: «Lo sguardo dello straniero è sempre uno sguardo che rinnova e ricrea, che riscopre i paesaggi avvolti dalla polvere dell’ovvio e del quotidiano. È lo sguardo di uno spettatore disinteressato» (Turri, 1998). Tuttavia, sebbene in un primo momento venga applicata un’osservazione tesa a scuotere il territorio, successivamente gli artisti individuano un forte interesse in quello spazio e lo esplicano attraverso l’azione.

  1. Mappare

Mappare il paesaggio è una fase successiva all’osservazione straniata (cfr. Osservare). Tale procedimento si può definire, all’interno del processo artistico, come un atto personale di selezione degli elementi rilevanti attraverso differenti criteri complessi (scientifico, sociale, culturale, ecc.) e assommabili (sociale+culturale) per individuare, nel modo più completo possibile, una o più caratteristiche che compongono un territorio. Tutto ciò rende i criteri di mappatura liberi e soggettivi a seconda dello scopo che ci si prefigge, ma estremamente rigidi una volta decise le coordinate entro cui stare. Le mappe che ora analizzeremo sono, tuttavia, estremamente parziali, poiché la loro validità è tale solo se agganciata alla performance di cui sono parte processuale e strumento. Alla realizzazione, quindi, il compito di definirle ancora di più mettendo in luce mancanze e aporie. In questa sede, però, sono estremamente indicative per comprendere il processo fatto dagli artisti.

Per la performance itinerante Sull’irrequietezza del divenire realizzata a Porto Marghera viene realizzata una mappa (Fig. 1) pensata secondo criteri utili alla creazione artistica in quel luogo: il gruppo individua gli spazi residuali piuttosto che quelli antropici, crea un confine d’azione e sottolinea la presenza dell’elemento ‘acqua’ caratteristico del paesaggio lagunare.

Fig. 1 – Mappatura di Porto Marghera per la performance itinerante Sull’irrequietezza del divenire

I termini provenienti dalle teorie di Gilles Clément, quindi, sono gli argini con cui realizzare la cartografia. Inoltre, la mappa, come il paesaggio, non è cosa fissa e immutabile, ma un oggetto-processo che si prepara a essere ulteriormente dettagliato nel corso della performance proprio dallo spettatore, come indica il foglio distribuito ai partecipanti, a cui viene data la possibilità di completare la mappa osservando e interagendo con il territorio individuando alcune piante: vite americana, robina ed edera comune.

Se lo desideri puoi ritornare liberamente nelle zone indicate dalla mappa a fronte e, come piccolo gioco, individua le specie vegetali qui sotto elencate. Queste specie sono spesso presenti negli spazi residuali. Se le riconosci una o più di una potresti averne una davanti?

La richiesta avviene sotto forma di gioco, una prospettiva coerentemente didattica con una performance che vuole sensibilizzare al tema del residuale e al dialogo di sguardi con la natura.

Lorenzo Morandini, invece, attua una mappatura stratificata del paesaggio su cui innesta il suo corpo danzante (cfr. Corpo). Infatti, nella sua restituzione grafica l’ambiente appare stilizzato (Fig. 2) a individuare gli elementi da cui il territorio è composto.

Fig. 2 – Mappatura stilizzata dello spazio alpino per La möa

In primo luogo viene individuato il suolo e, di conseguenza, l’indagine geologica. Subentrano poi la flora e la fauna che vivono in quell’habitat e le successive modificazioni antropiche e culturali. Infine, Morandini considera il proprio corpo danzante come ulteriore presenza, capace di inserirsi e incarnare lo spazio circostante; pertanto il danzatore diventa elemento del paesaggio al pari di tutti gli altri.

Le mappe scelte sembrano dar ragione alla teoria degli iconemi di Eugenio Turri, ovvero unità semiotiche minime legate alla percezione del paesaggio che «rappresentano il tutto, che ne esprimono la peculiarità, ne rappresentano gli elementi più caratteristici, più identificativi» (Turri, 1998). Sicuramente, almeno in parte, questo tipo di approccio può andare incontro alle esigenze di analisi di uno territorio, ma bisogna frenare la tendenza a semiotizzare i singoli elementi e l’insieme di un ambiente che – per sua natura – è in divenire e in continuo mutamento a più scale e, pertanto, non è in alcun modo fissabile (se non, come dice giustamente Turri, nella memoria dei singoli). In questo senso spesso sono necessari strumenti superiori che consentano una visione complessa e processuale del paesaggio.

  1. Strumento

Analizzare un paesaggio attraverso uno strumento e restituirne una mappatura (cfr. Mappare)sono fasi circolari che si spalleggiano in continuazione per definire lo spazio con un’accuratezza sempre maggiore. Il mutare della strumentazione, infatti, influisce direttamente sulla sintesi, anche estetica, che si opera: «La rappresentazione mentale che dà luogo al paesaggio», scrive Michael Jakob, «si inscrive già in una continuità tecnologica per il suo debito nei confronti della rappresentazione artistica» (Jakob, 2021).

In questo senso lo sguardo che passa per il microscopio (Fig. 3) in Sull’irrequietezza del divenire (cfr. Osservare) risponde alla necessità di rinforzare la vista per fornire ulteriori stimoli rispetto a un’osservazione a occhio nudo.

Vedere il mondo attraverso questi strumenti [microscopio e altri] ha dunque due conseguenze contraddittorie. Il loro utilizzo permette, da un lato, di fissare il mondo esterno con una precisione e una chiarezza straordinarie […]; la vista si ritrova globalmente rinforzata, il che implica parimenti una conoscenza empirica del mondo aumentata. Tuttavia, l’esistenza di questi strumenti disvela […] la relatività dello sguardo umano […]. Il dominio del visibile, anche se ampliato, appare in effetti come circondato da un oceano d’invisibilità. (Jakob, 2021)

Fig. 3 – Porzione di foglia ottenuta da uno scatto al microscopio presso il Parco di Villa Angeletti (foto di Sansonne-Sbaragli)

D’altronde il campo dell’invisibile non riguarda solo quello che non può essere visto, ma anche ciò che non si è in grado di udire. Ed è questo uno dei tratti più interessanti di Sull’irrequietezza del divenire, ovvero il campionamento degli impulsi elettrici delle piante attraverso il galvanometro che poi traduce il tutto in messaggi MIDI. Il risultato viene montato in una traccia audio da parte del musicista compositore Edoardo Sansonne. Su questa base musicale si innesta il dialogo corporeo della performer/danzatrice Elisa Sbaragli.

In questo senso la strumentazione è utilizzata nel modo più ampio possibile per rispondere ad un’analisi, prima, e a una restituzione corporea poi. Si attua pienamente il principio di rappresentazione per cui «il reale è fatto a gradi e […] la scena», come spazio d’azione degli elementi, «è il punto di intersezione che lascia percepire un invisibile nelle maglie del visibile» (Pitozzi, 2017).

  1. Corpo

Il corpo è l’elemento nodale e cruciale di tutta la riflessione sul danzare il e nel paesaggio. Può essere sia strumento (cfr. Strumento), in quanto organo di raccolta di informazioni dello spazio circostante, che veicolo di contenuti poiché parte del paesaggio (cfr. Mappare).

Quando, per esempio, siamo in montagna d’inverno percepiamo il freddo attraverso il fisico e comprendiamo, da ciò, che nello spazio circostante è effettivamente freddo. Nel momento in cui esterniamo la sensazione con stimoli spontanei (brividi, battito dei denti, pelle d’oca) o indotti (lo esterniamo a voce, ci scaldiamo con le braccia conserte, ecc.) incarniamo la temperatura del paesaggio montano e intrecciamo un dialogo coerente con l’ambiente che ci circonda. Potremmo ripetere l’esempio con molti altri elementi del paesaggio, ma ciò che cambia è la relazione che decidiamo il nostro corpo debba avere: imitazione, incarnazione, dialogo, rifiuto, accordo o disaccordo ecc. Lorenzo Morandini lavora in questa duplice dinamica (strumento ed ente dialogante) del corpo.

Nel corso del suo talk descrive il processo tripartito con cui acquisisce informazioni dall’ambiente attraverso la percezione. Inizialmente osserva (cfr. Osservare) e permane con il corpo nello spazio, calibrando le temperature e le sensazioni. Successivamente dà inizio a un contatto con l’ambiente, lavorando attraverso elementi di sensibilità del luogo circostante. Infine, attua una imitazione e incarnazione del paesaggio, tale procedimento può avvenire anche in forma di gioco; per esempio, racconta che in un canneto presso la residenza Crevalcore fingeva di essere uno tra gli anfibi nascosti tra i rami.

Ma il corpo, dicevamo, è anche in dialogo con il paesaggio e, in particolare, con il corso d’acqua su cui è calibrata la creazione di Morandini tanto da portarne il sottotitolo: «Danza per corpo e torrente». In questi termini descrive la sua relazione tra fisico e liquido:

L’acqua è abitata, ci sono i rami spezzati da una tempesta, una bomboletta spray ammaccata, i pesci e una ciabatta logora…e il corpo. Un corpo che esplora, cerca e osserva. Il torrente parla, il corpo risponde, lo abita, lo interroga.

Tramite questo discorso riconosce l’apparire della rappresentazione, così come l’abbiamo definito prima (cfr. Strumento): «si svela un mondo sommerso, fatto di impressioni invisibili ed effimere che passano fra corpo e paesaggio». Insomma il corpo in relazione con l’ambiente attua quella dinamica di emersione dell’invisibile in se stesso e nel paesaggio (Pitozzi, 2017).

L’efficacia di questo processo nei torrenti montani è indiscussa grazie al dinamismo insito del fiume in discesa. Tuttavia, Morandini ha dovuto affrontare la pianura padana attorno alle Sementerie artistiche di Crevalcore concentrando, di conseguenza, l’analisi non più sul dialogo di movimenti ma – non troppo differentemente da Sull’irrequietezza del divenire – sul gioco di sguardi (cfr. Osservare): l’acqua rimane ferma nei canali tra i vari campi della bassa e, esternamente immobile, riflette il cielo azzurro (Fig. 4). In questo modo, per Morandini, è il cielo a essere diventato luogo di interesse. Inoltre, date le condizioni proibitive del terreno melmoso per tentare di interagire fisicamente con il fluido, c’è la scoperta mediante il tatto di una nuova dimensione, quella della «materia ibrida, terracqua». Un nuovo stato da incarnare che potrebbe tracciare nuove prospettive di indagine corporea.

Fig. 4 – Riflesso del cielo nelle acque del canale presso Crevalcore (foto di Lorenzo Morandini)

E la comunità?

All’interno di questo brevissimo e incompleto glossario manca una riflessione compiuta su uno degli elementi che, sin dall’inizio, abbiamo individuato essere fondativo nella danza urbana: il valore politico. Tale mancanza è doverosa, dato che la forma della restituzione giustamente – sia per lo stato di avanzamento del progetto che per rendere giustizia al vero significato di ‘residenza’ (da intendersi non come luogo di spettacolarizzazione, ma riflessione) – non consente la realizzazione delle dinamiche sopra descritte, se non immaginandosele in potenziale e quindi con il rischio di commettere grossi errori di valutazione e inadatte sintesi preventive.

È, tuttavia, doveroso sottolineare ancora una volta che entrambi i progetti partono da una necessità politica. Il dialogo tra uomo e natura e l’attenzione nei confronti degli spazi residuali di Sull’irrequietezza del divenire restituiscono molto bene la teoria di Clément e del suo «giardiniere planetario» che gestisce lo spazio chiuso della biosfera dove «solo la condivisione è possibile» (Clément, 2012). Dall’altra parte, La möa riflette sulla dimensione comunitaria all’interno del paesaggio come pratica attiva in cui il corpo, inteso anche come insieme sociale, ha un rapporto preminente con l’ambiente e gli elementi del paesaggio. Per ora si può positivamente prendere atto dell’altissima qualità della ricerca condotta durante le residenze di Bodyscapes, mentre saranno le future comunità aggregate dalle loro creazioni a decretare la qualità e l’efficacia del discorso politico.

Bibliografia

F. Acca, Introduzione, in «Culture Teatrali», 2021, n. 30, (Scena anfibia e pratiche coreografiche del presente, a cura di F. Acca), pp. 9-15.

G. Clément, Manifesto del Terzo paesaggio, Macerata, Quodilibet, 2004.

G. Clément, Giardini, paesaggio e genio naturale, Macerata, Quodilibet, 2012.

P. D’Angelo, Filosofia del paesaggio, Macerata, Quodilibet, 2010.

M. De Marinis, Capire il teatro. Lineamenti di una nuova teatrologia, Roma, Bulzoni (nuova ed.), 2008.

M. Jakob, Il paesaggio e la performatività della tecnica, in Landscape and performativity. Between aesthetics, ethics and artistic practices, Studi di Estetica, anno XLIX, IV serie, 3/2021, pp. 18-30.

R. Messori, Il ritmo performativo del paesaggio, in Landscape and performativity. Between aesthetics, ethics and artistic practices, Studi di Estetica, anno XLIX, IV serie, 3/2021, pp. 1-16.

E. Pitozzi, Acusma. Figura e voce nel teatro sonoro di Ermanna Montanari, Macerata, Quodilibet, 2017.

A. Pontremoli, La danza del nuovo millennio fra dissenso e partecipazione, in «Culture Teatrali», 2021, n. 30, (Scena anfibia e pratiche coreografiche del presente, a cura di F. Acca), pp. 16-34.

G. Tenti, Riscrivere la Terra. Poetiche di terraforming, in Landscape and performativity. Between aesthetics, ethics and artistic practices, Studi di Estetica, anno XLIX, IV serie, 3/2021, pp. 58-71.

E. Turri, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Venezia, Marsilio, 1998.

N.B. Le citazioni senza fonte sono da ricondursi ai materiali messi a disposizione da parte degli artisti ai fini di questo articolo. Tali documenti comprendono: dossier di progetto, mappe e fotografie.

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