Un luogo, due volti.

Il 9 settembre abbiamo assistito a due spettacoli: “La Möa- danza per corpo e torrente” e “Sull’irrequietezza del divenire”. Entrambi hanno avuto luogo nel giardino Gennaro Fabbri, a due passi l’uno dall’altro, ma allo stesso tempo in luoghi completamente diversi tra loro. Il primo in riva al fiume Reno, in mezzo al verde del parco; il secondo fra mura di cemento ricoperte di graffiti in prossimità dei ponti che sorreggono le linee dell’alta velocità. Il contrasto fra le ambientazioni fa risaltare le due performance, che pur avendo un concetto di base in comune, ossia l’impiego del corpo nello spazio, comunicavano sensazioni discordi.
La prima esibizione, di Lorenzo Morandini, si basava principalmente sull’interazione con l’ambiente: dalle rocce sul sentiero, alle piante in riva al fiume, all’acqua stessa. Quest’armonia con il paesaggio era rispecchiata perfettamente anche dalla performance stessa, costituita da movimenti lenti, fluidi e rilassati e accompagnata dai suoni del parco e dello scorrere dell’acqua. Il pubblico poteva assistere sia da lontano sia avvicinandosi all’artista, osservandolo rapportarsi con lo spazio. Niente musica, pochissimi oggetti di scena (nella prima parte due sassi raccolti dal prato, nella seconda una bottiglia di plastica), e costumi di scena semplici (nella prima parte abbigliamento da camminata, nella seconda un costume da bagno nero). Il punto focale dell’esibizione rimaneva sempre il corpo in movimento.
La seconda performance, interpretata da Elisa Sbaragli insieme a Fabio Brusadin ed Edoardo Sansonne, si è svolta a pochi minuti di cammino dalla prima, tuttavia in un’ambientazione molto diversa. Dal verde del prato si è passati infatti ad un sottopassaggio ferroviario, da un luogo naturale ad uno completamente stravolto dall’uomo, fatto di cemento, ricoperto da murales e con i suoni dei treni che passavano in sottofondo. L’esibizione si è articolata su 3 livelli di spazio: il primo virtuale, in cui il pubblico poteva osservare l’artista attraverso gli schermi di due device; il secondo reale ma circoscritto, per cui ci si poteva avvicinare ma pur sempre osservando da una certa distanza l’artista in uno spazio confinato; e infine il terzo prospettico, dopo una interazione con il pubblico se ne distanzia, stagliandosi all’orizzonte. Il contatto con gli spettatori si è quindi evoluto nel corso dell’esibizione stessa, e allo stesso modo spostandosi da un punto all’altro cambiava la percezione della rappresentazione. Inoltre, dalla prima esibizione la coreografia è cambiata radicalmente: da una sensazione di armonia e pace, si è passati ad uno stato di angoscia, precarietà, quasi di disagio, con movimenti che trasmettevano dolore e oppressione amplificati dall’uso della tecnologia e dai suoni di sottofondo. Anche la scelta del costume di scena contribuiva ulteriormente alla sensazione complessiva: indossando abiti color carne, la performer dava quasi l’impressione di non indossare nulla, trasmettendo un senso di vulnerabilità. Ciò lascia spazio ad interpretazioni svariate, e tra di noi in redazione abbiamo discusso di varie idee fra cui una in particolare è stata messa in risalto. La performance potrebbe rappresentare una storia di violenza, in cui inizialmente la protagonista è in una situazione di oppressione, rinchiusa, e lentamente e difficoltosamente riesce ad uscirne. Una volta uscita dalla sua “gabbia” tuttavia non è ancora libera: deve ancora affrontare le difficoltà di rimettersi in piedi con le proprie forze, vacillando e arrancando. A questa si affianca l’interpretazione del significato delle telecamere, che in relazione a una storia del genere potrebbero rappresentare una denuncia all’impassibilità delle masse alle scene di violenza a cui assistiamo sui social. Confrontarsi con gli altri è stata una parte integrante dell’esperienza, che ci ha permesso di cambiare prospettiva e aprirci a interpretazioni nuove.
In conclusione, i due spettacoli hanno brillantemente messo in risalto i luoghi in cui si sono svolti, trasmettendo un ampio spettro di emozioni (calma iniziale, spaesamento e curiosità dopo il cambio, climax di ansia e disagio culminanti nel finale dell’esibizione ) e lasciando nel pubblico vari spunti di riflessione e interpretazione. Infine, gli artisti sono stati abilissimi nel realizzare le performance. Un’esperienza decisamente stimolante ed intrigante!
Elena
Inserisci un commento