Il dialogo giocoso di Paglialunga e Mattogno. Cronaca di un’intervista.
Abbiamo fissato un’intervista con Enrico Paglialunga (danzatore e coreografo) e Giacomo Mattogno (compositore e musicista) al Dumbo. Io e Alice percorriamo Via Polese – Via Casarini stando sotto la soglia dei 10’, volete sapere perché? Perché ho dovuto correre dietro ad Alice che era sullo skate! Ecco l’intervista che abbiamo fatto con i due artisti.
Com’è nata la vostra passione per la danza e per la musica?
Enrico – La mia passione per la danza possiamo dire che non sia mai nata: è sempre stata presente fin da bambino anche se mi sono deciso a studiarla solo attorno ai 13 anni. Da lì ho continuato i miei studi fino a 19 anni, cominciando a collaborare con compagnie italiane. Mentre la passione per la coreografia è emersa negli ultimi cinque anni, quindi è un percorso nuovo e ancora pieno di risorse. Quasi tre di questi anni sono stati insieme a Giacomo con le sue musiche.
Giacomo – Con la musica ho iniziato fin da molto piccolo, mio zio suonava in una band la chitarra e io ero super emozionato ogni volta che lo vedevo. Mia madre mi ha portato a lezioni di chitarra classica ma dopo aver scoperto la chitarra elettrica ho deciso di suonare quella. Ho continuato i miei studi di chitarra per 10 anni, poi ho iniziato a studiare tecnica del suono spostandomi a Berlino. Lì ho iniziato a collaborare con vari artisti compreso Enrico e a studiare musica elettronica.
Come mai avete dato questo titolo al vostro spettacolo?
Enrico – Il titolo “Shape of moving waves” significa letteralmente “forma delle onde sonore” poiché’ ci ispiriamo alla fisica del suono, alle onde sonore stesse e alla propagazione del suono abbiamo deciso di essere fedeli all’ispirazione.
Giacomo – Il pezzo è ispirato al movimento delle particelle sonore e alla propagazione delle onde sonore nell’aria. Questa è stata la prima ispirazione e poi il pezzo è andato in diverse direzioni meno tecniche e più artistiche.
Enrico – Soprattutto la prima parola “shape” che in inglese significa “forma” per me rappresenta la possibilità di “forme” che cerco di assumere, di comunicare con il mio corpo durante la performance. Una possibile rappresentazione della propagazione delle onde sonore perciò abbiamo scelto questo titolo.
In che modo danza e musica comunicano?
Giacomo – Diciamo che c’è una connessione tra il corpo e la musica. Alcuni parametri musicali sono collegati al suo corpo e quindi c’è un dialogo tra musica e corpo in tempo reale. In alcuni punti io seguo con la musica i movimenti del suo corpo e in altre parti è il suo movimento che segue il mio suono.
Enrico – È un dialogo molto giocoso che prevede il mettere alla prova l’altro e rimane per noi (nonostante sia un lavoro che ha già qualche anno) un linguaggio e una struttura molto fresca, molto nuova. Ogni rappresentazione ha la sua singolarità che la caratterizza.
Giacomo – Oggi, per esempio, siamo in stretta consonanza con lo spazio e con il movimento che compie il suono in questo spazio. In spazi diversi la performance cambia: questa volta lo facciamo in uno spazio urbano, che noi preferiamo rispetto a uno spazio chiuso. Farlo in uno spazio esterno, urbano e non convenzionale è molto più significativo piuttosto che farlo in un teatro. Abbiamo avuto l’opportunità di performarlo in entrambi i contesti e ci ha sempre convinto di più lo spazio aperto.
Ecco a proposito di questo, l’idea era nata per teatro o per urbano?
Enrico – Inizialmente non ce lo siamo chiesto per cosa stavamo creando, abbiamo solo iniziato a lavorare. In realtà le prime rappresentazioni sono avvenute in teatro ma quando sono iniziate le rappresentazioni urbane abbiamo capito che era quella la versione che ci convinceva di più.
Agata Cogni e Alice Tovoli (14y)
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